DIV.ERGO - La fragilità si fa arte e il volontariato diventa impresa

A cura di Leda Cesari
Gli indigeni ordinano servizi di piatti e bomboniere artigianali. I turisti – tutti quelli che passano da lì: tanti – comprano il souvenir di piccole dimensioni causa norme strozza-acquisti delle compagnie aeree, ma poi si rifanno ampiamente con lo shopping on line. E l’esperienza di “Div.ergo”, piccolo ma grande laboratorio creativo di Lecce, dove la fragilità si fa arte e il volontariato impresa, cresce, si radica, si moltiplica.

Erano i primi anni del Duemila quando un gruppo di persone di buona volontà col pallino del sostegno a chi non è forte e “compos sui” – pienamente in possesso delle proprie facoltà personali, per non dirla in latino -  partì con quell’esperienza quasi per caso, quasi per gioco, ed oggi il piccolo laboratorio di corso Vittorio Emanuele che si è raddoppiato gemmandosi in Officina in via Prato a Lecce (dove si lavora il legno), e Bottega a Santeramo in Colle, è diventato da associazione fondazione, e da variabile volontaristica, appunto, azienda. Un’azienda che riesce a piazzare i suoi deliziosi manufatti anche in vari negozi d’Italia (Aosta, Verona, Matera, Ostuni, Verbania, Gallipoli, Policoro, elencano soddisfatti gli operatori). E che per non mandare a casa “ragazzi” desiderosi di “buttare le mani” – come si dice a Lecce per indicare chi non vuole starsene a girare i pollici – si è inventata pure un angolo d’agricoltura, l’“H.orto” (sulla strada che da Lecce porta a San Cataldo), per consentire appunto a chi non è tagliato per dipingere la ceramica o lavorare le resine di impegnarsi comunque in qualcosa: coltivare le rape, ad esempio, e poi venderle ai ristoranti cittadini. Tutto biologico, s’intende, e stagionale.

Il motto degli otto “ortolani” impiegati al momento presso l’orto di “Div.ergo” è “Stanchi ma felici”, perché si alzano presto per andare a coltivare la terra. “Non avremmo mai potuto rimandare quei “ragazzi” a casa senza coinvolgerli nelle nostre attività”, racconta la presidente della fondazione nata dall’associazione “C.a.sa.”, Maria Teresa Pati, “così abbiamo comprato quel terreno con i proventi del laboratorio e creato un orto. Avendo la riprova che il contatto con la natura è salvifico”.  Come quello con l’arte, che al momento facilita l’espressione personale (non solo creativa, ma anche linguistica e di movimento) dei 16 “artisti” di stanza nel laboratorio di corso Vittorio Emanuele, un autentico tripudio di colori e materiali trasformati in piccole opere d’arte e venduti per sostenere il centro stesso con tutti coloro che ci lavorano, alcuni a titolo di volontariato, altri con contratto part-time  (come alcuni dei “ragazzi”).

Pittura, cartapesta (non quella classica ma una versione nuova, “realizzata con carta asciutta di giornale tipo “Sorrisi & Canzoni” e colla “diversa”, spiega la presidente), resine che si traducono in servizi da tè e bijoux, lampade e magneti da frigorifero, matite e orologi, quaderni e molto, molto altro. E, soprattutto, in ritrovate capacità relazionali per gli ospiti del laboratorio, le cui fragilità si attenuano come per incanto al contatto con i colori, la creta, l’Altro: “Lo tocchiamo con mano tutti i giorni. Molti “ragazzi”, una volta giunti qui, cominciano a parlare, a muoversi autonomamente, a prendere da soli il bus per arrivare qui, ma soprattutto a diventare più sicuri di sé e a liberare le loro capacità espressive”, spiega ancora la presidente, “e se per qualche motivo sono costretti a interrompere la loro collaborazione con noi si chiudono in se stessi, non parlano più, oppure diventano estremamente capricciosi”.

 “Div.ergo”, insomma, fa bene. “Qui leggiamo i giornali, ascoltiamo la musica classica, studiamo poesia e filosofia e le vite degli artisti di cui riproduciamo lo stile. E a volta andiamo anche a vedere le opere di questi grandi dell’arte: l’anno scorso siamo stati a Vienna per ammirare le opere di Klimt e di Paul Klee, che i “ragazzi” avevano studiato”. “Molti di loro hanno preso l’aereo per la prima volta”, aggiunge il responsabile del laboratorio, Gianluca Marasco. Prossima tappa Torino, per cercare ispirazione al Museo Egizio e a quello del Cinema.

Recentemente  i “ragazzi”, che in realtà hanno tutti tra i 22 e i 35 anni (ma ce ne sono due che sono ultracinquantenni) hanno fornito opere per rendere più allegro il reparto di Emodinamica dell’ospedale “Vito Fazzi”. Li si può ammirare all’opera passando per il corso principale di Lecce (il laboratorio ha una bella vetrina con vista sui tavoli da lavoro), oppure entrando nel piccolo laboratorio messo a loro disposizione dal Comune, nel 2009, tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 17.30 alle 20, e regalare loro un momento di attenzione. E regalarsi un sorriso tra angeli di creta e stoviglie un po’ Gaudì: la giornata, garantito, si raddrizza subito.