FAJARAMA, LUOGO DEL CUORE NEL CUORE DEL GARGANO

A cura di Toni Augello

Ci sono posti nel Gargano con la cui bellezza, prima o poi, devi fare i conti.

Si tratta di quei luoghi meno noti, sentieri meno battuti è il caso di scrivere, il cui fascino è così notevole che, una volta scoperti, non puoi fare a meno di amarli per sempre.

Uno di questi è certamente il Sentiero Fajarama.

Siamo nel Bosco della Difesa, in agro di San Marco in Lamis, sulla Via Francesca o Via Francigena, all'altezza dello storico Santuario di San Matteo.

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Il Sentiero, che costeggia l'omonimo canale, si sviluppa poco oltre il Santuario. È un percorso ad anello che porta dai circa 700 msl a poco più di 870, prima di ridiscendere verso il punto di partenza.

Come in tutto il settore occidentale del Gargano, nonostante il rigoglioso manto vegetativo, sono evidenti manifestazioni carsiche sia superficiali che profonde: doline, grotte, pozzi (sul crinale c'è la Piscina di Treppetto, conosciuta anche come Treppiedi).

Ma c’è di più. A rendere speciale il Sentiero Fajarama c’è l’unico nucleo spontaneo di faggio presente sul Gargano occidentale (albero da cui pare derivi anche il nome del sentiero).

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E non solo. Sul suo percorso si trovano i resti di quelle attività proto-industriali che hanno caratterizzato vita ed economia del territorio fino a tutta la metà del '900 in sintonia con la natura e le stagioni.

Tra faggi, cerri, carpino bianco, carpinella, aceri e noccioli, ci sono i resti (adeguatamente segnalati e delimitati da staccionate) di una neviera o nevaia e di una calcinaia.

Di neverie, nevaioli e “industria del freddo” ho scritto già in più di un’occasione su questi Appunti dal Gargano. Qui mi soffermerò sulle “calecare” ed i suoi “calecarule”.

I mastri “calecarule” ricavavano la calce attraverso la cottura delle pietre in fornaci di dimensioni variabili a seconda delle necessità, attraverso una tecnica millenaria rinvenibile fin dai tempi degli antichi romani.

La fornace (di cui sulla Fajarama restano poche tracce) ricorda vagamente la base di un trullo. Sulla facciata anteriore vi è la bocca del forno, che consentiva l'introduzione nella camera della legna da ardere. I sassi, prescelti dall’occhio esperto dei “calecarule”, venivano posizionati lungo il perimetro interno della fornace in maniera tale da cuocere quanto più materiale possibile in minor tempo.

La cottura che, a seconda delle dimensioni della fornace, poteva portar via da tre a otto giorni, avveniva ad un a temperatura che si aggirava tra gli 800 e i 950 °C. Per mantenere la temperatura costante erano tanti gli accorgimenti che venivano presi, dalla scelta della legna da ardere al collocamento della fornace in posti riparati, ai rivestimenti ulteriori che potevano essere realizzati con la realizzazione di “doppie camice” di muratura e l'interposizione di terreno tra le mura.

A fine cottura le pietre, che rilasciavano tutta l'anidride carbonica, perdevano quasi la metà del proprio peso, in gran parte si sgretolavano riducendosi in pezzi più piccoli e polvere: si otteneva così la calce viva.

La calce viva veniva spenta attraverso una delicata operazione di aspersione di acqua che riduceva al minimo la causticità della calce. Questa veniva poi conservata in ampie fosse e arrivava in paese grazie all'andirivieni delle donne che la trasportavano a piedi in ceste e sacchi.

Era usualmente compito delle donne dell'epoca - che, come oggi, erano contestualmente mogli, madri e grandissime lavoratrici – occuparsi oltre che del trasporto della calce anche della tinteggiatura delle pareti delle proprie abitazioni. A tal fine, la calce veniva abbondantemente diluita con acqua per ricavarne il grassello. Ma la calce, ancora in polvere, serviva anche per disinfettare cisterne e serbatoi e come insetticida nei campi.

Il Sentiero Fajarama, insomma, è un’autentica immersione nella natura e nella storia di un Gargano autentico, che ha ancora tanto da svelare ai suoi visitatori